‘’Le donne vestono
quasi alla greca, portando una veste, che le cuopre dalle spalle ai piedi’’. Con questa breve ma poco esaustiva spiegazione,
il geografo Lorenzo Giustiniani nelle sua celebre opera, Dizionario geografico ragionato del regno di Napoli, descriveva il
modo in cui vestivano le donne sul finire del Settecento. Anche il Macchiaroli
in Diano e l’omonima sua valle, fa
cenno all'abbigliamento femminile delle donne atinati ‘’e non ha che poca somiglianza cogli altri paesi limitrofi’’.
Donna del paese di Atena - disegno conservato a Firenze
Accanto
all'idioma dialettale impregnato di influssi grecofoni e forme cultuali
tipicamente bizantine, anche il vestiario fino alla seconda metà dell’Ottocento
ha conservato orpelli e abiti di chiaro retaggio greco. La lunga veste che
copre interamente il corpo della donna, descritto dal Giustiniani, dovrebbe
essere una riproposizione del greco chitone, una lunga veste che
arrivava fino ai piedi, di lino, costituita da un solo pezzo rettangolare di
stoffa, dove i due bordi laterali erano cuciti assieme e quelli superiori di
ogni lato erano raccolti sulla spalla e sulla braccia e tenuti assieme da una
doppia serie di punti di cucitura e talvolta da fibbie, sì da formare lunghe
maniche; su di essa, solitamente, veniva sovrapposta una seconda tunica più
corta, da cui il nome di diploidion (veste doppia).
Tuttavia questa tipologia di abito era
utilizzato nelle cerimonie e in particolari occasioni, accompagnato, inoltre,
da un altro accessorio: un copricapo a tese larghe, il thòlia, utilizzato per
riparare il viso dal sole; le donne utilizzavano anche dei nastri per legare i
capelli, detti mitra o raccoglierli entro una reticella chiamata kekryphalos
o nella cuffia, sàkkos.
Questi elementi dell’età classica sono ancora presenti
in un disegno ottocentesco, il cui originale è conservato presso palazzo Pitti
di Firenze, che raffigura una donna del paese di Atena. Quest’abito
tradizionale consisteva in una gonna di panno di colore rosso, in un farsetto
detto ‘’corpino’’di colore rosso vivo; in un’altra gonna ben più corta di
colore blu arricchita nelle estremità da un nastro di color oro che si
indossava al di sopra del sottano e veniva agganciato per metà ad un altro tipo
di farsetto, tramite fibbie o spilloni, chiamato cintura. Questa cintura poteva
essere di colore verde chiaro o scuro o di altro colore e si univa alla seconda
gonna con fermagli. Questo pezzo si univa alla gonna di sopra e formava un’apertura
nel davanti a forma di ‘’V’’, lasciando intravedere il sottano. La camicia di
color bianco era impreziosita da ricami sia intorno al collo che alle maniche,
fuoriuscendo dal farsetto a mo’ di manicotti a doppio risvolto. Inoltre intorno
al collo veniva appoggiato un fazzoletto di seta arricciato (u maccaturu a
pizzu) che andava a coprire il collo e la parte davanti. Anche ‘’u vandisino’’
era un elemento indispensabile che andava a coprire il sottano nei momenti di
lavoro e operosità all'interno delle mura domestiche. Sul capo veniva poggiato
un elaborato panno rettangolare con delle falde laterali che dovevano
proteggere dal freddo o in estate dal caldo.
Foto del 1881. Antenati dello scrivente. Particolare: donna con l'abito tradizionale e il copricapo
Le pettinature in voga fino ai
primi del Novecento richiamavano forme appartenenti all'età antica: i capelli
venivano raccolti all'indietro, nel ‘’tuppo’’ oppure dopo aver realizzato due
lunghe trecce, esse venivano fatte girare sul capo e sistemate con forcine o
nastri colorati.
Particolare dell'acconciatura della scultura della Colomba
Per chi poteva permetterselo vi era la possibilità di rendere
ancora più accurata la propria immagine mettendo intorno al collo lunghi lacci
d’oro (ovvero oro americano con una caratura molto bassa per chi tornava dalle
Americhe) che terminavano con medaglie o ciondoli dove all'interno erano
conservate le foto di un caro estinto. Gli orecchini con pendente ornavano
invece i lobi delle orecchie. L’importanza dell’abbigliamento e dell’intero corredo che la
donna doveva fornire come dote nel momento del contratto matrimoniale con i
genitori dello sposo era indispensabile per sottolineare anche lo status
sociale che ella occupava. Emblematico è il caso della ricca dote offerta allo
sposo di Colombina De Marco figlia di Carmine e Irene Fressola, il 16 agosto
del 1909. Nel documento vergato dal consorte della De Marco che dichiarava di
aver ricevuto gli ‘’oggetti mobiliari
come corredo della futura mia sposa, e distintamente numerati dai suoi genitori’’
vi sono elencati camicie, sottani, giacche, scialli e numerosi ‘’anella’’ e
pendagli in oro. I principali eventi della vita familiare, come la morte di un
congiunto o il matrimonio, trovano in effetti non di rado espressione
attraverso l’abito. Alcuni indumenti o accessori possono caricarsi di
particolari significati rituali. Era usanza, inoltre, offrire al futuro sposo
una camicia confezionata dalla fidanzata, in segno di appartenenza e fedeltà
coniugale.
Foto di fine Ottocento. Processione della Colomba: donne con centa votiva
Anche il colore degli abiti aveva un suo motivato perché:
è da ipotizzare che il colore rosso, come in altre zone d’Italia, fosse
considerato il più adatto per le nozze. L’abito di Atena presenta
caratteristiche che rientrano in questa ipotesi. Il lungo sottano di colore
rosso poteva essere utilizzato dalla donne atinati quale abito nel giorno delle
nozze e poi successivamente arricchito da altri accessori che completavano il
vestimento. Questo tradizionale utilizzo di colore era strettamente collegato
al simbolismo religioso: nel ciclo di affreschi all'interno del santuario di
Santa Maria della Colomba, la veste della Vergine è di colore rosso, simbolo
dell’umanità e verginità, mentre il drappeggio soprastante è celeste o blu,
colore che allude alla divinità e alla sponsalità. Stesse caratteristiche sono
presenti, altresi, nel tradizionale abito che è stato preso in esame: una veste
rossa con una seconda gonna più piccola di colore blu. In verità non si può parlare strettamente di
un abito standard utilizzato per svariati secoli ma bensì di un prodotto finale
con vari rimaneggiamenti e aggiunte nel corso del tempo. L’abito folcloristico
è molto distante dal modo di vestire delle donne di fine Ottocento; esso è
arricchito da orpelli e colori che non richiamano la tradizionale vestitura ma
bensì presentano, forse, in modo un po’ goffo, un abito con peculiarità
teatrali e ‘’da scena’’.
Altra testimonianza che può aiutarci a capire come vestivano
le donne nel Settecento e nell'Ottocento è l’arte: il ciclo di affreschi del
santuario della Colomba di Anselmo Palmieri del 1713 presenta all'interno alcuni episodi biblici dove alcuni personaggi sono abbigliati secondo la moda del tempo.
Particolare: Nascita di Maria Santissima, affresco di Anselmo Palmieri, 1713. Santuario della Colomba
Particolare: Presentazione di Maria al tempio, affresco di Anselmo Palmieri, 1713. Santuario della Colomba
Anche
in Santa Maria Maggiore, nella tela collocata nell'abside dove è riprodotta la ‘’Visitazione’’,
Maria sfoggia un ricco abito color ocra con risvolti decorati sulla maniche e
una pettinatura a ‘’toupet’’, tipica del XVIII secolo; il cugino Zaccaria,
invece, presenta un abito ancora più elaborato: un largo mantello di color
verde acido copre la parte superiore dell’abito mentre con un gesto di saluto
accoglie l’ospite mostrando l’elegante berretto frigio. L’accurata ricercatezza
dell’abito sta nell'ampio colletto di color bianco che va ad appoggiarsi sugli
omeri, dal color porpora del farsetto e delle brache e dagli eleganti stivali
in pelle. L’autore dell’opera, il pittore Nicola Peccheneda, con molta
probabilità, si sarà ispirato a qualche illustre personaggio che presentava simili
vesti intorno al 1751, anno di realizzazione dell’opera.
Visitazione, tela di Nicola Peccheneda, 1751. Chiesa di S. Maria Maggiore
Un’altra opera che presenta simili caratteristiche alle
precedenti è una tela nella chiesa di San Nicola del 1645 di autore ignoto.
Ebbene, il santo vescovo di Mira è raffigurato in abiti pontificali mostrando
alla sua destra un fanciullo, il coppiere Basilio (o Adeodato nella
trascrizione latina) che fece ritorno a casa, grazie all'intervento del santo, dopo essere stato rapito dai pirati saraceni. Il coppiere in atto di ringraziamento verso il
santo è abbigliato secondo i costumi della prima metà del XVII secolo; è
agghindato con una giubba o farsetto, appuntito sul davanti, arricchito da
trine e merletti, sovrapponendosi su calzoni (o culottes alla francese)
voluminosi, fissati al ginocchio da nastrini o bottoni che reggono delle calze
bianche. Sulle spalle un corto mantello, sorretto dagli sbuffi posti sul
farsetto e scarpe con fibbie in argento.
Particolare: San Nicola, di ignoto autore, 1645, Chiesa di San Nicola
Bibliografia:
L. Giustiniani, Dizionario ragionato del regno di Napoli, 1797-1805, vol.10
S. Macchiaroli, Diano e l'omonima sua valle, Napoli, ed. Rondinella 1868.
R. Sarti, Vita di casa. Abitare, mangiare, vestirenell'Europa moderna. Ed. Laterza, 2003
R. Sarti, Vita di casa. Abitare, mangiare, vestirenell'Europa moderna. Ed. Laterza, 2003
Archivio privato della famiglia De Marco. (Carteggio)