‘’Il tenimento di Atena
è pieno di siffatte tombe antiche; e se ne scavano immense fino ad un metro
sotto il suolo. Lo dimostrano le non poche iscrizioni nostre, ritrovate finora,
descritte nella parte terza di questo lavoro. In Atena non vi è contadino che
anche nello zappare, dove sono macerie, che non trovi dei frantumi di tegole
frammiste ad ossa umane, ed oggetti interrati col morto al par di che l’aratro
spesso scovre di queste tombe…’’. Rileggendo con più
attenzione quest’opera – Notizie storiche sulla distrutta città di
Atinum Lucana – dell’avvocato Giovanbattista Curto, ormai nota e punto
di riferimento per chi voglia immergersi nelle pieghe della plurisecolare
storia atinate, ho posto la mia attenzione sulla ricchezza archeologica del
sottosuolo di Atena Lucana. Forse quasi distrattamente non ci accorgiamo, per
chi ha l’abitudine di frequentare il centro storico, di quello che ci circonda.
Se a noi non è ancora purtroppo noto quello che il sottosuolo serba nelle sue
viscere, è a noi vicino, invece, una raccolta di testimonianze del passato che
i contadini, quasi casualmente, hanno recuperato e riutilizzato, a volte
impropriamente, per le proprie costruzioni. Nonostante la dispersione di gran
parte del patrimonio archeologico, Atena conserva un volto oserei dire
‘’romano’’ ad opera delle poche e ancora non conosciute iscrizioni latine, che
in origine dovevano formare un vero e proprio patrimonio culturale, non solo
per la loro estetica bellezza artistica ma per la presenza di multiformi
idiomi, di personaggi che hanno dato lustro alla città antica con le loro opere
e alla vitalità di quel periodo che ci appare come aureo.
Come ho già detto in precedenza, per chi è abituato a
frequentare il centro antico non può non accorgersi di tale presenza: essa è costante,
non solo per la presenza di questi marmi secolari, ma anche dai toponimi e dal modus costruendi delle abitazioni. In
una delle mie quotidiane passeggiate, accompagnato da amici, che come me
studiano da qualche anno il territorio e condividono idee e progetti, mi
imbatto in un reperto che non avevo mai visto e che ha destato la mia
curiosità: un’epigrafe di età romana. All’inizio, in verità, pensavo non si
trattasse di una vera e propria scoperta, ma di un ritrovamento di un reperto
che già precedentemente era stato studiato e poi smarrito e non più
rintracciato. Consultando il CIL (Corpus Iscriptionum Latinarum) di Theodor Mommsen, il già citato testo del Curto, l’Istoria di Atena
Lucana del dottor Michele Lacava, non c’è traccia di questa epigrafe e sembra
non essere stata trascritta e annoverata nel corpus epigrafico. Volendo dare,
inoltre, anche un’occhiata nell’appendice dedicato alle epigrafi false e
sospette, questa iscrizione non compare. Mutilata nella parte superiore è
possibile leggere con qualche difficoltà il resto del testo:
[MARCE] LLA PO [SUER] UNT
QUI VIXIT ANNIS V M [ensis] XI D[ies] XXIII
Con certezza
possiamo definirla sepolcrale in quanto ci informa dell’età vissuta della fanciulla di nome Marcella (qui
vixit/che visse) deceduta alla tenera età di cinque anni. Purtroppo non
siamo a conoscenza dei nomi che curarono l’erezione del monumento sepolcrale. Con molta probabilità si tratta dei suoi genitori in quanto ''posuerunt'' è al plurale. La tendenza e la cura nel riportare gli
anni, i mesi e i giorni era riservata perlopiù a persone che morivano in tenera
età e la frequenza crebbe negli ultimi secoli di vita dell’impero romano e nelle
prime iscrizioni cristiane (III – IV secolo d.C.). Con molta probabilità questa
iscrizione doveva far parte di un monumento sepolcrale e il contenuto, come del
resto la sua funzione, può essere diverso se essa si trova all’esterno o all’interno
di un edificio sepolcrale, se è destinata ad essere letta da un passante o solo
chi ne aveva il diritto di penetrare all’interno. La decontestualizzazione di
questo reperto non ci permette, almeno per adesso, di dire molto. Non si hanno
notizie del luogo di ritrovamento del cippo e nemmeno della relativa tomba e
pertanto è difficile argomentare su questo reperto e avere ulteriori notizie.
Appare, invece,
molto più interessante un’altra epigrafe, anche questa inedita e non presente ancora in nessun testo, fu ritrovata in
piazza Vittorio Emanuele qualche anno fa, quando l’area fu interessata da
lavori di scavo per far passare le condutture del gas metano. Furono ritrovate
due iscrizioni (di cui solo una riuscii a ricopiare), frammenti di una statua e
altro materiale archeologico di grande importanza. Fortunatamente riuscii a
ricopiare una delle due epigrafi in quanto in un primo momento furono allocate
sotto la casa comunale in attesa di conservarle all'interno dei locali preposti
alla custodia. Il testo dice:
GENIO MUNICIPI ATINATIUM
ARAM LATINIUS LUCANUS PATER
POSUIT LATINIUS LUCANUS FILIUS
SCRIPSIT IT DIDICAVIT S P
L D D D
ARAM LATINIUS LUCANUS PATER
POSUIT LATINIUS LUCANUS FILIUS
SCRIPSIT IT DIDICAVIT S P
L D D D
Genio Municipi Atinatium/aram Latinius Lucanus pater/posuit Latinius Lucanus filius/scripsit it[erum] didicavit s[ua] p[ecunia]/ L[ocus] d[atus] d[ecreto] d[ecurionum]
Traduzione: Al Genio del Municipio Atinate Latinio Lucano padre pose l'altare; Latinio Lucano figlio scrisse e dedicò di nuovo a sue spese. Luogo dato per decreto dei decurioni.
Questa epigrafe arricchisce il panorama cultuale dell’antica città romana di Atina. Affermava Servio (Commento all'Eneide, 5, 95) che nullus locus sine Genio, (nessun luogo è senza un genio), ossia senza uno spirito o nume tutelare che custodiva le sorti di una famiglia, di una persona o come in questo caso di una città. Nella religione romana il Genio (lat. Genius, ii) è un nume tutelare ed esso nasce con l’individuo, accompagnandolo e dirigendo le sue azioni nel corso della vita. L’attribuzione del Genio si estese anche alle famiglie (Genio del pater familias), allo Stato, alle province, ai collegi, alle unità militari e il genio dell’imperatore vivente divenne oggetto di culto pubblico con Augusto. La stessa città di Roma, e come anche Atena, aveva un Genio, ricordato dal già citato Servio: Genio urbis Romae sive mas sive femina. La tutela del locus riferibile al genius è uguagliabile, come importanza, alla sua tutela personale. Il genius, infatti, è presente in ogni luogo e svolge un'azione di tutela rivolta sia al singolo individuo sia ad una comunità. La protezione si allarga dall'individuo all'ambiente in cui esso vive dando luogo ad una particolare tipologia di genio: il genius loci. Si può supporre, duenque, che anche Atina aveva il suo genio, un genius municipi che proteggesse la città e a cui era dedicata generalmente un imaginem.
Analoga funzione avevano i Penati e i Lari, spiriti protettori della famiglia e della casa, venerati nella romana Atina in età augustea come è testimoniato da un’altra iscrizione (Iscriptiones Italiae, pag. 82-83). Fervente devoto verso le divinità dell’Olimpo era Latino Lucano (padre), già costruttore di un altare dedicato ad Esculapio, quando era duumviro ed edile della città. (Notizie storiche della distrutta città di Atinum, op. cit. pag. 86-86). Publio Latino Lucano ricordato quale edificatore dell'ara al dio-medico dei corpi Esculapio ricopriva una carica nella quaestura alimentorum, che ad Atìna distribuì alle famiglie indigenti il necessario dopo che Nerva e Traiano introdussero l'umanitaria istituzione degli alimenta Italiae. Con molta probabilità questo altare al Genius era all’interno di un tempio, edificato da Latino Lucano padre e restaurato nuovamente e dedicato a proprie spese (sua pecunia) dal figlio dall'omonima onomastica. La suddetta epigrafe fu dettata da Latino Lucano figlio in quanto si afferma che scripsit (scrisse), per commemorare la celebre opera del padre, edificatore e mecenate di templi sacri. Dal ritrovamento effettuato, come ho già detto in precedenza, fu possibile individuare anche resti di basi composite e blocchi di pietra, facenti parte, forse, dell’antico edificio templare. Il luogo dato per decreto dei decurioni (Locus datus decretum decurionum) avvalora l’ipotesi dell’esistenza di un tempio dedicato al Genio del Municipio di Atina, un locus sacro, dove era indispensabile un decreto da parte dei funzionari – i decurioni - che si occupavano di amministrare e governare il municipio atinate. Il testo presenta anche un termine latino dai chiari aspetti arcaicizzanti - didicavit - (dedicò) al posto del consueto dedicavit.
Ancora una volta il sottosuolo atinate ci consegne delle memorie... a quando un'accurata attenzione?