Vicende
terrene di un uomo di Chiesa
-
Il
caso del canonico Spagna di Atena -
Nato dalla nobile famiglia
Spagna e terzo di undici figli, Michele Giuseppe Antonio nacque ad Atena Lucana
nel 1774 da don Arcangelo e donna Prisca Barrile. Avviato alla formazione
teologica e umanistica anche con l’aiuto di suo fratello, il sacerdote don
Nicola, fu ordinato sacerdote nel 1798. La famiglia Spagna, di non chiare
origini, compare ad Atena al termine del XVII secolo ed era dedita al commercio
e agli affari. La vicinanza agli ambienti borbonici e la fedeltà alla causa
realista fecero di questa famiglia una delle più ragguardevoli e importanti
della cittadina. Il canonico Spagna era un fedele suddito della corona
borbonica e aveva una fitta corrispondenza con il cardinale Fabrizio Ruffo, dei
duchi di Bagnara e Baranello, al fine di rimettere sul trono di Napoli
Ferdinando IV. Il cardinale Ruffo in testa ad un esercito di 25.000 uomini una
volta impadronitosi di Crotone risalì la penisola attraverso la Basilicata, poi
in Puglia e attraversò il Vallo di Diano dove, secondo un racconto, il canonico
Spagna acclamò l’arrivo dell’esercito della Santa Fede.
(Particolare dello Stemma della famiglia Spagna)
Con l’arrivo delle truppe
napoleoniche nel 1806, don Michele Spagna fuggì dal palazzo vescovile di Sala –
dove era stato segregato e protetto dal tribunale ecclesiastico per un reato
commesso nel 1804 – rifugiandosi nel palazzo di famiglia ad Atena. Il ritorno
dei Borboni contribuì a rafforzare la già potente famiglia Spagna con la
concessione dell’arma araldica e la donazione di feudi e terreni.
(Portale del palazzo Spagna)
Don Michele
Spagna venne insignito del titolo di canonico e cavaliere dell’ordine
costantiniano con la concessione di particolari insegne quali il rocchetto, la
mozzetta, la cappa magna, l’anello e la croce pettorale. L’opulenza è manifesta
nella realizzazione della sua nobiliare dimora, ostentata dal portale
neoclassico datato 1807, con elementi tardo barocchi e reminiscenze manieriste.
Alla base della paraste che sorreggono una trabeazione, ornata di metope e
triglifi, si legge un’iscrizione: DE SPAGNA HOS LAPIDES MICHAEL CONSTRUXIT ET
AEDES A. D. 1807. FRANCISCUS PITETTI DE PADULA F. (fecit). Sul lato sinistro
del palazzo, invece, un semplice portale con iscrizione indica che un tempo vi
era un sacello per le private orazioni del canonico e dei suoi famigli.
(Particolare del portale)
Nel 1816 un certo Michele
Manzolillo presenta una denuncia al procuratore generale di Salerno per
concubinaggio, infanticidio, protezione a sicari prezzolati e ricettazione,
‘’L’infante morto fu da lui in una notte portato nel cimitero dietro la Chiesa
Madre’’, si legge nella denuncia; ed ancora: ‘’ comprava vaccini a prezzo
vilissimo e li rivendeva a prezzo di mercato’’. Con la morte del Manzolillo, la
denuncia, inspiegabilmente fu insabbiata nonostante fosse firmata da molti
testimoni.
Ma nell’estate del 1837 ad
Atena succedevano dei fatti molto strani. Il colera si era già diffuso e aveva
mietuto numerose vittime, provocando disagi e preoccupazione all’interno delle
varie comunità del Principato Citeriore. Accanto all’assillante preoccupazione
per le numerose sepolture da effettuare,
fecero comparsa le prime voci di veneficio che causarono torbidi disordini
sociali. Il vice sindaco di Atena, un tal Pandolfo, succeduto al primo eletto
Cimino deceduto di colera, indirizzò una lettera al sottointendente di Sala:
una missiva dai toni preoccupanti, denunciando il canonico Spagna, reo di aver
diffuso voci di avvelenamento arrecando paura e sconforto tra la popolazione.
Nella lettera si legge, inoltre, che il canonico Spagna pubblicò ‘’sopra dell’altare al popolo congregato in
chiesa, che fossero stati tutti cauti nell’andare a prendere l’acqua della
fontana, chè si passava pericolo di morire avvelenati…’’. E aggiunge il sindaco nella missiva: ‘’Ieri l’altro essendo lo stesso [il
canonico] andato camminando, portò un cocuzzello spaccato, che disse averlo
trovato avvelenato, in mezzo ad una gran folla di gente, ed indi se lo portò in
casa sua.’’
Tra il popolo ignorante e
credulone era semplice propinare false credenze: il canonico Spagna era
intenzionato a diffondere una paura che stava esasperando già la moltitudine,
per la perdita dei propri cari e gestire affari lucrosi intorno al
‘’commercio’’ delle sepolture. Il diffondere di voci sediziose portò ad una
vera e propria caccia all’untore di manzoniana memoria e la paura crebbe non
tanto per il diffondersi del morbo
cholera ma per l’avvelenamento dei beni di prima necessità quali l’acqua
presente nei pozzi e canali di irrigazione e gli ortaggi. Era stato proprio re
Ferdinando II, in un editto del 6 Agosto del 1837, a ordinare ‘’che fossero
vietate vociferazioni che si sparga veleno al fine di turbare l’interna
sicurezza dello Stato’’.
Nonostante l’editto di Saint
Cloud, emanato da Napoleone e promulgato al
Regno d’Italia il 5 settembre 1806, che vietava l’inumazione e le sepoltura
all’interno dei centri urbani e promuoveva la costruzione di cimiteri al di
fuori del perimetro urbano, Atena, in quel periodo, ancora non era dotata di
un’area per le sepolture extraurbane e la consuetudine di seppellire i morti
all’interno delle chiese era ancora radicata durante quell’agitata estate del
1837.
Il Liber Mortuorum del 1837, il registro con l’elenco dei decessi
durante il morbo colerico, ci fornisce un’indicazione preziosa: il luogo di
sepoltura di coloro che erano deceduti a causa dell’epidemia. Tal luogo era
denominato ‘’Agro Sancto alli Arnici’’,
prossimo alla cappella di Sant’Antonio, contrada extraurbana e luogo ideale per
seppellire i defunti.
Non tutti però erano concordi
nel rispettare la legge di sanità pubblica e fu reso necessario un controllo
autonomo da parte della popolazione in quanto circa trecento persone, armate di
mazze e di scuri, assediarono la chiesa madre per impedire che vi si
tumulassero cadaveri colerosi ‘’eccellenti’’. Il 20 agosto, inoltre, avvenne un
atto sacrilego e cioè l’apertura di una bara durante un corteo funebre. Gli
imputati di tale gesto furono i fratelli Pietro e Giuseppe Antonio Di Marsico,
Luigi Puppolo, Celestino Pessolano e Pietro Varuzza, quest’ultimo esecutore
materiale dell’atto. Il farmacista Domenico Curzio dichiarò apertamente che
furono sepolti diversi cadaveri colerosi nella chiesa madre e che tale
operazione si praticava furtivamente ‘’in tempo di notte’’, tanto che ‘’il puzzore
che tramandava nella chiesa era tale, che la gente non vi accedeva’’. Non tutti
i congiunti dei defunti erano propensi a far seppellire le salme dentro fosse
comuni e coloro che potevano permetterselo, e soprattutto la classe nobiliare,
ricorrevano al canonico Spagna e dietro cospicuo pagamento potevano permettersi
l’inumazione in una delle numerose tombe a terragna presenti nella chiesa
madre. Anche la stessa famiglia Spagna era proprietaria di una tomba di
famiglia dove molti esponenti della stessa, tra cui una donna Isabella Spagna,
sorella del canonico e moglie di d.Giuseppe Cimino, vennero ivi sepolti. La
vicenda si chiuse con l’arresto del sacrestano (colpevole di aver effettuato le
inumazioni notturne) e il canonico Spagna venne sollevato dall’incarico di
curato della chiesa Madre. Il canonico don Michele Spagna morì nel 1839 e fu
sepolto nel camposanto in contrada Arnici. Solenni funerali furono celebrati,
come si legge nella particella del registro dei morti, con la partecipazione
del clero e dei monaci ‘’della terra de la Polla’’ che accompagnarono il
feretro processionalmente in ‘’pompa magna’’. Ma un mistero avvolge la morte di
quest’uomo: il luogo della sua sepoltura. Il registro dei decessi riporta come
luogo di riposo eterno per il canonico il camposanto presso la cappella di Sant’Antonio
agli Arnici. Dalle perlustrazioni da me effettuate nessuna lapide con epitaffio
e nessun sepolcro risulta esistere all’interno ed esterno della cappella. Viene
da chiedersi se effettivamente il canonico sia stato sepolto in questo luogo…
E’ mai possibile che nessuno
abbia eretto un monumento o lapide dedicatoria al sacerdote Spagna? Eppure il
suo rango di canonico, con una cospicua rendita mensile, poteva permettersi un
ben modesto sepolcro funebre. Nemmeno il clero e il benestante fratello don
Mattia Spagna hanno pronunciato un epitaffio? Oppure c’è stata un vera e
propria damnatio memoriae?
Credo, invece, che la salma
del canonico in tempi meno turbolenti sia stato riportata nel sepolcro di
famiglia nella chiesa di Santa Maria Maggiore dove tuttora riposa in attesa
della beata resurrezione.
di Paolo Francesco Magnanti
@ Tutti i diritti sono riservati
(Tomba a terragna della famiglia Spagna, Chiesa di S. Maria Maggiore, Atena Lucana)
Bibliografia e fonti:
Paolo Abbate, Il colera del 1836 - 1837 a Napoli, nel Cilento e nel Vallo di Diano. ed. Palladio, 1998.
ASSM, (Archivio Storico di Santa Maria Maggiore di Atena Lucana), Registro dei morti del 1837.
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