giovedì 6 dicembre 2012


        Vicende terrene di un uomo di Chiesa
-         Il caso del canonico Spagna di Atena -

Nato dalla nobile famiglia Spagna e terzo di undici figli, Michele Giuseppe Antonio nacque ad Atena Lucana nel 1774 da don Arcangelo e donna Prisca Barrile. Avviato alla formazione teologica e umanistica anche con l’aiuto di suo fratello, il sacerdote don Nicola, fu ordinato sacerdote nel 1798. La famiglia Spagna, di non chiare origini, compare ad Atena al termine del XVII secolo ed era dedita al commercio e agli affari. La vicinanza agli ambienti borbonici e la fedeltà alla causa realista fecero di questa famiglia una delle più ragguardevoli e importanti della cittadina. Il canonico Spagna era un fedele suddito della corona borbonica e aveva una fitta corrispondenza con il cardinale Fabrizio Ruffo, dei duchi di Bagnara e Baranello, al fine di rimettere sul trono di Napoli Ferdinando IV. Il cardinale Ruffo in testa ad un esercito di 25.000 uomini una volta impadronitosi di Crotone risalì la penisola attraverso la Basilicata, poi in Puglia e attraversò il Vallo di Diano dove, secondo un racconto, il canonico Spagna acclamò l’arrivo dell’esercito della Santa Fede.

 (Particolare dello Stemma della famiglia Spagna)

Con l’arrivo delle truppe napoleoniche nel 1806, don Michele Spagna fuggì dal palazzo vescovile di Sala – dove era stato segregato e protetto dal tribunale ecclesiastico per un reato commesso nel 1804 – rifugiandosi nel palazzo di famiglia ad Atena. Il ritorno dei Borboni contribuì a rafforzare la già potente famiglia Spagna con la concessione dell’arma araldica e la donazione di feudi e terreni. 
(Portale del palazzo Spagna)

Don Michele Spagna venne insignito del titolo di canonico e cavaliere dell’ordine costantiniano con la concessione di particolari insegne quali il rocchetto, la mozzetta, la cappa magna, l’anello e la croce pettorale. L’opulenza è manifesta nella realizzazione della sua nobiliare dimora, ostentata dal portale neoclassico datato 1807, con elementi tardo barocchi e reminiscenze manieriste. Alla base della paraste che sorreggono una trabeazione, ornata di metope e triglifi, si legge un’iscrizione: DE SPAGNA HOS LAPIDES MICHAEL CONSTRUXIT ET AEDES A. D. 1807. FRANCISCUS PITETTI DE PADULA F. (fecit). Sul lato sinistro del palazzo, invece, un semplice portale con iscrizione indica che un tempo vi era un sacello per le private orazioni del canonico e dei suoi famigli. 

(Particolare del portale)

Nel 1816 un certo Michele Manzolillo presenta una denuncia al procuratore generale di Salerno per concubinaggio, infanticidio, protezione a sicari prezzolati e ricettazione, ‘’L’infante morto fu da lui in una notte portato nel cimitero dietro la Chiesa Madre’’, si legge nella denuncia; ed ancora: ‘’ comprava vaccini a prezzo vilissimo e li rivendeva a prezzo di mercato’’. Con la morte del Manzolillo, la denuncia, inspiegabilmente fu insabbiata nonostante fosse firmata da molti testimoni.
Ma nell’estate del 1837 ad Atena succedevano dei fatti molto strani. Il colera si era già diffuso e aveva mietuto numerose vittime, provocando disagi e preoccupazione all’interno delle varie comunità del Principato Citeriore. Accanto all’assillante preoccupazione per le numerose  sepolture da effettuare, fecero comparsa le prime voci di veneficio che causarono torbidi disordini sociali. Il vice sindaco di Atena, un tal Pandolfo, succeduto al primo eletto Cimino deceduto di colera, indirizzò una lettera al sottointendente di Sala: una missiva dai toni preoccupanti, denunciando il canonico Spagna, reo di aver diffuso voci di avvelenamento arrecando paura e sconforto tra la popolazione. Nella lettera si legge, inoltre, che il canonico Spagna pubblicò ‘’sopra dell’altare al popolo congregato in chiesa, che fossero stati tutti cauti nell’andare a prendere l’acqua della fontana, chè si passava pericolo di morire avvelenati…’’.  E aggiunge il sindaco nella missiva: ‘’Ieri l’altro essendo lo stesso [il canonico] andato camminando, portò un cocuzzello spaccato, che disse averlo trovato avvelenato, in mezzo ad una gran folla di gente, ed indi se lo portò in casa sua.’’
Tra il popolo ignorante e credulone era semplice propinare false credenze: il canonico Spagna era intenzionato a diffondere una paura che stava esasperando già la moltitudine, per la perdita dei propri cari e gestire affari lucrosi intorno al ‘’commercio’’ delle sepolture. Il diffondere di voci sediziose portò ad una vera e propria caccia all’untore di manzoniana memoria e la paura crebbe non tanto per il diffondersi del morbo cholera ma per l’avvelenamento dei beni di prima necessità quali l’acqua presente nei pozzi e canali di irrigazione e gli ortaggi. Era stato proprio re Ferdinando II, in un editto del 6 Agosto del 1837, a ordinare ‘’che fossero vietate vociferazioni che si sparga veleno al fine di turbare l’interna sicurezza dello Stato’’.
Nonostante l’editto di Saint Cloud, emanato da Napoleone e promulgato al Regno d’Italia il 5 settembre 1806, che vietava l’inumazione e le sepoltura all’interno dei centri urbani e promuoveva la costruzione di cimiteri al di fuori del perimetro urbano, Atena, in quel periodo, ancora non era dotata di un’area per le sepolture extraurbane e la consuetudine di seppellire i morti all’interno delle chiese era ancora radicata durante quell’agitata estate del 1837.
Il Liber Mortuorum del 1837, il registro con l’elenco dei decessi durante il morbo colerico, ci fornisce un’indicazione preziosa: il luogo di sepoltura di coloro che erano deceduti a causa dell’epidemia. Tal luogo era denominato ‘’Agro Sancto alli Arnici’’, prossimo alla cappella di Sant’Antonio, contrada extraurbana e luogo ideale per seppellire i defunti.
Non tutti però erano concordi nel rispettare la legge di sanità pubblica e fu reso necessario un controllo autonomo da parte della popolazione in quanto circa trecento persone, armate di mazze e di scuri, assediarono la chiesa madre per impedire che vi si tumulassero cadaveri colerosi ‘’eccellenti’’. Il 20 agosto, inoltre, avvenne un atto sacrilego e cioè l’apertura di una bara durante un corteo funebre. Gli imputati di tale gesto furono i fratelli Pietro e Giuseppe Antonio Di Marsico, Luigi Puppolo, Celestino Pessolano e Pietro Varuzza, quest’ultimo esecutore materiale dell’atto. Il farmacista Domenico Curzio dichiarò apertamente che furono sepolti diversi cadaveri colerosi nella chiesa madre e che tale operazione si praticava furtivamente ‘’in tempo di notte’’, tanto che ‘’il puzzore che tramandava nella chiesa era tale, che la gente non vi accedeva’’. Non tutti i congiunti dei defunti erano propensi a far seppellire le salme dentro fosse comuni e coloro che potevano permetterselo, e soprattutto la classe nobiliare, ricorrevano al canonico Spagna e dietro cospicuo pagamento potevano permettersi l’inumazione in una delle numerose tombe a terragna presenti nella chiesa madre. Anche la stessa famiglia Spagna era proprietaria di una tomba di famiglia dove molti esponenti della stessa, tra cui una donna Isabella Spagna, sorella del canonico e moglie di d.Giuseppe Cimino, vennero ivi sepolti. La vicenda si chiuse con l’arresto del sacrestano (colpevole di aver effettuato le inumazioni notturne) e il canonico Spagna venne sollevato dall’incarico di curato della chiesa Madre. Il canonico don Michele Spagna morì nel 1839 e fu sepolto nel camposanto in contrada Arnici. Solenni funerali furono celebrati, come si legge nella particella del registro dei morti, con la partecipazione del clero e dei monaci ‘’della terra de la Polla’’ che accompagnarono il feretro processionalmente in ‘’pompa magna’’. Ma un mistero avvolge la morte di quest’uomo: il luogo della sua sepoltura. Il registro dei decessi riporta come luogo di riposo eterno per il canonico il camposanto presso la cappella di Sant’Antonio agli Arnici. Dalle perlustrazioni da me effettuate nessuna lapide con epitaffio e nessun sepolcro risulta esistere all’interno ed esterno della cappella. Viene da chiedersi se effettivamente il canonico sia stato sepolto in questo luogo…
E’ mai possibile che nessuno abbia eretto un monumento o lapide dedicatoria al sacerdote Spagna? Eppure il suo rango di canonico, con una cospicua rendita mensile, poteva permettersi un ben modesto sepolcro funebre. Nemmeno il clero e il benestante fratello don Mattia Spagna hanno pronunciato un epitaffio? Oppure c’è stata un vera e propria damnatio memoriae?
Credo, invece, che la salma del canonico in tempi meno turbolenti sia stato riportata nel sepolcro di famiglia nella chiesa di Santa Maria Maggiore dove tuttora riposa in attesa della beata resurrezione.

di Paolo Francesco Magnanti
@ Tutti i diritti sono riservati

(Tomba a terragna della famiglia Spagna, Chiesa di S. Maria Maggiore, Atena Lucana)

Bibliografia e fonti:

Paolo Abbate, Il colera del 1836 - 1837 a Napoli, nel Cilento e nel Vallo di Diano. ed. Palladio, 1998.
ASSM, (Archivio Storico di Santa Maria Maggiore di  Atena Lucana),  Registro dei morti del 1837.



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