giovedì 23 maggio 2013

A PROPOSITO DEL TEMPIO DI GIOVE...



Muse di Pieria,che date la gloria coi canti,
Zeus qui ora cantate, al padre vostro inneggiando:
per opera sua gli uomini sono illustri   e oscuri,
noti e ignoti,  a piacimento di Zeus grande.
Facilmente  egli dona la forza, facilmente abbatte chi è forte,
facilmente  umilia chi è grande e l'umile esalta,
facilmente raddrizza chi è storto e dissecca chi è florido,
Zeus che tuona profondo ed abita le eccelse dimore.
Ascoltami, a me guardando e porgendo l'orecchio: con giustizia le sentenze raddrizza ,
tu; io a Perse voglio alcune verità raccontare
(Esiodo, Le opere e i giorni, Proemio)



E' da qualche mese che non aggiorno il mio blog. Ci siamo lasciati con l'argomento ''epigrafi romane'' e non ho avuto modo - data la mancanza di tempo - di argomentare e proporre nessun altro aspetto della storia di Atena. Stamattina però, ho avuto uno spunto per poter scrivere altre due righe riallacciandomi così all'ultimo argomento proposto. Vorrei continuare con il filone del corpus epigrafico, molto consistente per la verità, che ci permette di ricostruire aspetti non solo onomastici ma anche architettonici, come templi o edifici pubblici che ornavano l'antica Atina romana. Lo spunto a cui mi riferisco è indirizzato ad un mio passaggio quasi casuale per la piazza. Riguardando con maggiore attenzione palazzo Caporale ho avuto modo di ammirare l'intera costruzione edificata nel 1868 da Carlo, farmacista e figlio di Feliciano Caporale. Nonostante avessi posto l'attenzione all'intero complesso il mio occhio è stato attratto dalla testata d'angolo sul lato sinistro, composta grossi blocchi squadrati  e scalpellati. Se credere si vuole alle parole del Curto, narratore di memorie antiche, il palazzo sorge su un'area dai contenuti archeologici. Riporto le sue parole a tal riguardo: ''Invero, innanzi al palazzo principesco della famiglia Caracciolo, al largo Garibaldi, esisteva grande spiazzo, dove all'epoca baronale, vi si facevano girare i cavalli per istruirli. Lì vicino, il defunto sig. Carlo Caporale e tal Federico Volpe, vi si censirono dal Comune un'area da fabbricarvi un palazzetto per abitazione, e , trovandosi il suolo bastantemente franoso, fu bisogno iscavare profondamente da oltre a dieci metri per farvi le fondazioni dei muri maestri. Accadde che vi si rinvennero, a centinaia, dei grossi blocchi affaccettati, della dimensione cubica in media un metro e più, posti alla rinfusa in tanti mucchi, fra grande quantità di tufacea calcina, e sopra un suolo a grosso mosaico a piccoli pezzi di marmo misto; e tutto, come avessero appartenuto a grande circolare edificio... Il Caporale fabbricò tutto il suo palazzo con quella quantità di macigni affaccettati, e servendosi, per la calcina, di quel materiale ferruginoso.''  Ma di quale edificio dell'antichità si tratta? Il Curto prova a dare una sua spiegazione, con molte lacune per la verità e senza nessuna prova storica schiacciante: ''Tutto aveva costituito il Tempio di Giove, semplicissimo nelle muraglie e soglie, l'una sopra l'altra, con poco cemento. Aveva la tettoia piombita e a lunghe tegole; era rotonda con cupole a colonna, delle quali se ne trovarono assai spezzoni.'' Secondo il Curto, dunque, si tratterebbe del tempio di Giove dove - continua - ''la tradizione costante antica del paese, durata da secoli, ne indica anche il sito, nel centro tra la città e l'acropoli. Ed è risaputo da tutti gli storici che nelle sole cospicue città, come la nostra di Atina, potevasi avere il Tempio di Giove, nel sito più nobile dell'abitato.'' Per il Curto e per altri storici (da lui indirettamente menzionati ma di cui non ho riscontrato il nome), i resti archeologici su cui è stato edificato palazzo Caporale sono quelli che in antico formavano la costruzione del romano tempio di Giove. Una tradizione - secondo il Curto -  che non trova riscontro con le fonti storiche documentarie ed epigrafiche a nostra disposizione. Tutto sembra nascere da una consuetudine,  forse orale, e originata da chissà quale racconto, portando a convincersi di un qualcosa che non ha supporto storico. L'iscrizione onoraria a Publio Nanonio Diofante, eretta per volere degli Augustales Atinates,  testimonia il culto per Giove e gli Dei Penati ma non presuppone l'esistenza di un tempio ad essi dedicato, dato che iscrizioni sacre a carattere cultuale potevano trovarsi ovunque. 

IOVI ET
DIS PENATIBUS
P(ubli) NANONI DIO 
PHANTI
AVGVSTALES ATINATES 

Nelle note storiche offerte sempre dal Curto, nella sua celebre opera ''Notizie storiche sulla distrutta città di Atinum Lucana'', l'epigrafe in esame viene spiegata in questo modo: ''il collegio degli Augustali in Atena era composto di quei sacerdoti appunto addetti al tempio di Giove, esistito in Atena, e dove, gran culto professavasi ai Dei Penati, eletti a protettori della Repubblica Atinate. Fra gli Augustali era trapassato Pubblio Nanonio Diofanto, che era il sommo sacerdote del Tempio, avendo in vita voluto tramutarsi l'antico cognome in Diofanto, che viene da Dios Giove, e Faino mostrare, per cui erettagli nel Tempio medesimo la tomba dai suoi colleghi sacerdoti Augustali, che, nell'epigrafe al defunto, vollero fare un omaggio al Dio Giove ed agli Dei Penati... Quest'epigrafe è la chiara dimostrazione della esistenza del tempio di Giove in Atena, senza del quale non poteva esservi il Collegio degli Augustali.'' Gli Augustales o più propriamente Sacerdotes Augustales (Sacerdoti di Augusto) erano un collegio sacerdotale istituito dall'imperatore Tiberio nel 14 d.C. per onorare il culto del Divo Augusto (ossia il divinizzato imperatore Caio Giulio Cesare Ottaviano Augusto)  e della Gens Iulia sull'esempio dei Sodales Titii creati da Romolo. Nei municipia romani (ed Atena era un municipium) gli augustales  raggiungevano il numero di sei e avevano la durata di un anno. Publio Nanonio era molto probabilmente tra costoro e in segno di riconoscenza la confraternita sacerdotale gli innalzò un'epigrafe dedicatoria, invocando gli dei protettori, i Penati e Giove, quest'ultimo massima divinità del pantheon pagano. Nessuna allusione alla presenza di un tempio o edificio dedicato nè a Giove e nè agli dei Penati. L'epigrafe, prima dello spostamento nella taverna del principe dopo il terremoto del 1857 che provocò il  crollo della porta della piazza, era situata nel lato sinistro di quest'ultima, già ricordata nei secoli XVII e XVIII dagli storici Mannelli e Antonini. Per dovere di cronaca è bene precisare dove era situata un tempo la porta della Piazza. Negli Stati delle Anime, essa è menzionata sopra palazzo Spagna; l'arco della porta, forse, si impostava tra il palazzo e la rampa in muratura antica della strada che porta a san Nicola. Lorenzo Giustiniani ne fa particolare memoria nel 1797 quando afferma che dopo aver attraversato il borgo si ha l'adito al paese passando per la porta denominata della Piazza sul cui stipite sinistro si poteva leggere la suddetta epigrafe. Dopo il devastante terremoto del 1857, che mutilò in modo grave il centro storico delle sue secolari memorie, l'epigrafe rotta in due pezzi fu trasferita con altre testimonianze del passato nella taverna del principe (ex falegnameria dei Di Santi, ora Mediateca Comunale) dove il Curto la lesse, convincendosi dell'esistenza del tempio di Giove. Egli era convinto che la vicinanza della porta della Piazza, dove era inserita l'epigrafe, al sito di palazzo Caporale, fosse sufficiente come prova per dedicare quelle antiche rovine, da lui descritte e ritrovate dal Caporale per la costruzione della sua dimora, a un presunto tempio al dio. (''L'epigrafe che venne messa alla tomba del primo sacerdote del tempio di Giove, a nome Diofante, oggi è poco lungi dal sito del Tempio, e siccome in questo, ad uno dei cantoni, si rinvennero ossa umane e vasi lacrimali, così è da ritenersi che la tomba si trovava nell'atrio del Tempio''
In verità un templum Iovis ad Atena è testimoniato in questa epigrafe:

[---] Q (uinti) f(ilius), Pom(ptina), Gall[us --- it]erum, flamen div[i --- tem]plum Iovis de s(ua) p(ecunia) refe[cit]



L'iscrizione in oggetto propone un tal Gallo figlio di Quinto della tribù Pomptina, che dovrebbe essere lo stesso dell'iscrizione n.153 delle Iscriptiones Italiae di Vittorio Bracco (Quinto Statio Gallo), flamine diale (lat. Flamen Dialis), ossia sacerdote preposto al culto di Giove. Il flamine Quinto Statio Gallo restaurò o rifece a proprie spese il tempio di Giove, posto dentro la città di Atina ma di cui, nonostante quest'epigrafe ne citi specificatamente l'esistenza, non si conosce l'esatta ubicazione. Il Bracco propone la collocazione in un punto della campagna verso Cosilinum, ma a mio avviso, quest'ipotesi non mi sembra molto convincente. L'epigrafe di Quinto Statio Gallo è stata ritrovata in località Penniniello, zona facente parte della Profìca, luogo di necropoli di età romana e rientrante (seppur non ancora accettata da qualcuno) nei confini del municipium atinate. Anche in questo caso, dunque, pensare all'esistenza in questo luogo del tempio di Giove mi sembra alquanto improbabile. Il tempio di Giove doveva situarsi nel forum, la piazza della città, documentato ad Atena nell'area della chiesa madre di Santa Maria, dal ritrovamento dei basoli che ne componevano la pavimentazione ad opera dei quattuorviri Marcello e Logismo. Se per la chiesa di Sant'Angelo (ora santuario San Ciro) è stata avanzata la proposta attraverso un'epigrafe in situ  dell'esistenza di un tempio alla Magna Mater perchè di Santa Maria non è stata ritrovata nessuna testimonianza archeologica? Le fondamenta di questa chiesa poggerebbero sulle rovine di un edificio romano?  Non possiamo avere nessuna risposta in merito, almeno per adesso, e queste domande non vogliono creare un alone di mistero. Queste domande devono interrogarci seriamente sulla nostra storia e sull'esatta ubicazione di alcuni edifici in età antica. Forse per certi versi la nostra storia andrebbe riscritta. Il sottosuolo nell'area della chiesa di Santa Maria ci ha restituito soltanto quei pochi basoli che pavimentavano il foro ma nessun edificio in particolare, mentre sappiamo benissimo che la piazza principale della città romana di Atina doveva contenere edifici sacri e pubblici di particolare importanza. 
Possiamo affermare con una certa sicurezza che i resti ritrovati dal Curto per la costruzione di palazzo Caporale non corrispondono al ricercato tempio di Giove e nemmeno l'epigrafe funeraria di Quinto Statio Gallo ne attesta l'esistenza in quel luogo. 
E quei ruderi descritti in maniera così precisa dal Curto a quale edificio appartengono?
Un'idea supportata da altre testimonianze archeologiche me la sono fatta ... Ma per adesso ''la stanca man'' si ferma.

Ringrazio di cuore l'amico Umberto Soldovieri per la foto dell'epigrafe da lui scattata. 


BIBLIOGRAFIA:

CURTO G. B., Notizie storiche della distrutta città di Atinum Lucana dai tempi incerti fino al secolo XIX, Sala Consilina, tipografia De Marsico, 1901, pp. 41-43, 87-88.

BRACCO V., Inscriptiones Italiae, vol. III, fasc. I - Civitates Vallium Sìlari et Tànagri, Istituto Poligrafico dello Stato, Libreria dello Stato, 1974, pp. 82,83 - 108-109.

BRACCO V., I materiali lapidei, in Storia del Vallo di Diano, vol. 1, l'età antica, ed. Pietro Laveglia, Salerno 1981, pag. 260.