venerdì 15 maggio 2020

Le nostre riflessioni: il lievito della "festa" di S. Ciro 2020

"Dall'inizio del novenario era già stato completato l'addobbo della chiesa; il concorso dei forestieri fu superiore a quello degli anni precedenti come si poteva giudicare dalla corrispondenza pubblicata dal diffuso Mattino il 19 maggio 1904; la Processione fu interminabile , tantissimi i cinti e i cerei offerti per devozione; ci furono anche le batterie ovvero spari continui che accompagnarono la processione durata per parecchie ore, i giochi popolari in piazza con corsa dei sacchi e la corsa degli asini molto graditi dal pubblico, la fiaccolata fatta in onore dei devoti residenti in America, il cinematografo che ebbe luogo la domenica sera e i fuochi pirotecnici bruciati la sera della vigilia e in quella della festa chiusa con granate multicolore."

Queste poche righe, tratte da un resoconto redatto dal canonico Giuseppe Pessolano nel maggio del 1904 per gli emigrati atinati in America, avrebbero dovuto aprire un articolo di storia sul culto di San Ciro ad Atena, ma la rilettura del testo mi ha portato a riconsiderare questo proposito alla luce di quello che stiamo vivendo. L'idea iniziale ha lasciato il posto ad una riflessione che ho il piacere di condividere in questo blog, restato, forse, in silenzio per troppo tempo. Ritornando brevemente alla questione del "mancato" articolo, aveva l'intenzione di inserirsi e arricchire l'esiguo filone storiografico sulla devozione di San Ciro ad Atena, tema che ancora attende di essere approfondito e studiato. Le fonti consultate qualche anno fa, e rielaborate solo recentemente, hanno aperto uno spaccato che finora è restato nel cono d'ombra. Vi do un'anticipazione: sono ormai noti i fatti avvenuti nel 1863, ovvero il "miracolo" della giovane Marianna Pessolano, la costruzione della statua etc... Meno note, invece, le vicende ante e post 1863: la nascita del culto ad Atena (nella storiografia troppo semplificata e quasi sempre schiacciata dalla diffusione voluta da S. Francesco De Geronimo); la metamorfosi cultuale; il terremoto del 1857 evento spartiacque... Una serie di tematiche che hanno come fil rouge il protagonista indiscusso: San Ciro. Lascio questi argomenti perché la voglia di raccontare è tanta, ma ho promesso di indirizzare il discorso verso una riflessione personale.

La scelta di portare all'attenzione questa parte del racconto del parroco Pessolano è stata suggerita da un motivo ben preciso: chi scrive riesce a catturarci, ci porta indietro nel tempo e ci fa ripercorrere idealmente quei giorni che quest'anno, purtroppo, non saremo chiamati a rivivere a causa dell'emergenza sanitaria in corso. Sebbene i giochi popolari e il cinematografo siano stati superati da altre tipologie di intrattenimento, i punti cardine della festa, come il novenario celebrato nel santuario, la fiaccolata in onore degli ammalati e dei residenti che vivono all'estero, la processione che si snoda per le vie del centro abitato, continuano ad essere i momenti più importanti. Tre momenti che, seppur mutati nel tempo, mantengono inalterata la loro essenza fatta di attesa ed incontri che coinvolgono il residente, il devoto, l'emigrato e se vogliamo perfino l'indifferente. 
Ciascuno nella sua specifica identità apporta un proprio contributo nell'annuale "movimento" che si genera tra consapevolezza e non, riuscendo a contagiare chiunque. Nonostante il relativismo imperante e l'indifferenza religiosa, la festa di San Ciro continua a mantenere flebilmente una matrice identitaria nella quale molti ancora si ritrovano. Ho utilizzato volutamente l'avverbio "flebilmente"per due motivi: il primo perché il culto, la sua storia e la perpetuazione dei suoi caratteri identitari hanno bisogno di "voci", di far nascere e rinascere testimoni capaci di preservare un deposito da trasmettere, un'eredità che ci è stata consegnata; in secondo luogo, la capacità di scrollarsi di dosso la "stanchezza" di gesti che potrebbero apparire ripetitivi e monotoni, come i momenti che si è chiamati a preparare o semplicemente partecipare. La volontà di destarsi da un involontario torpore porta a riconsiderare la bellezza ereditata, fatta sì di immagine ed esteriorità, ma soprattutto di legami sociali che la strutturano e la saldano. Guardiamo al racconto del parroco Pessolano: ciascun fatto narrato esprime unità e compattezza di vari individui o elementi. Nulla è lasciato al caso nei fatti che riporta.

I due motivi che ho richiamato poc'anzi sono complementari perché la conservazione del deposito della memoria e il progetto per il futuro rischiano di calcificarsi a causa di una stanchezza recondita. L'inaspettata pandemia, che ha scardinato progetti e infranto desideri, ci sta consegnando un tempo per riflettere, portandoci a riconsiderare quel "vuoto" lasciato dall'abituale festa; a chiederci dove la nostra identità, la nostra fede, che ci accomuna, stia andando. Sono momenti preziosi che non dovremmo sciupare soprattutto per fare un bilancio, un'analisi su quanto finora fatto e ricevuto, e sui progetti che si intenderanno realizzare. Dal silenzio di questa terza domenica di maggio dell'anno 2020, che tutto invaderà, dal vicolo alle principali strade, sarà necessario che la nostra riflessione sul presente proiettata al futuro sia rumorosa. Mi auguro che le nostre riflessioni silenziose siano come quelle "granate multicolore", cariche di fragore e colore per i tempi incerti che abbiamo dinanzi a noi.


Francesco






 




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